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QUADERNO DI “MEMORIE DELL’INFANZIA”

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San Raffaele Arcangelo
view post Posted on 22/2/2017, 12:01




Luglio 15-1926
Mio Gesù, amor mio, mia Mamma celeste e sovrana Regina, venite in mio aiuto, prendete fra le vostre mani il povero mio cuore; non vedete come mi sanguina per il duro combattimento di dover cominciare da capo, per dire la mia povera esistenza, della mia infanzia? A qualunque costo vorrei sfuggire questo dolorosissimo e duro sacrificio, e tanto più duro perché inaspettato; ma una novella ubbidienza esce in campo per martoriare la mia povera ed insignificante esistenza. Gesù, Mamma, venite in mio aiuto, altrimenti mi sento che la mia volontà vorrebbe uscire in campo di nuovo, per avere vita e poter dire un ‘no’ reciso a chi mi comanda. Ah, Gesù, permetterai tu forse che io abbia che ci fare col mio vo¬lere, dopo tanto tempo che tu con tanta gelosia lo tieni legato ai tuoi piedi come dono e trionfo della piccola figlia tua? Mi hanno imposto di pregare per sapere da te se debbo o no farla, e tu invece di essere con me, mi hai detto: “Ciò servirà a far conoscere la terra che doveva illuminare il sole della mia Volontà , per formare il regno suo”. Ah, Gesù, che importa a me far conoscere la mia piccola terra! E a te deve importare che si conosca il tuo Volere, non è vero o Gesù? Ma Gesù ha fatto silenzio ed è scomparso, ed io pronunzio con tutta l’intensa amarezza dell’anima : “Fiat! Fiat!”, ed incomincio.
Onde dico in principio ciò che mi hanno detto, la stessa mia famiglia.
Nacqui il 1865, 23 aprile, la domenica in albis, di mattina; la sera stessa mi battezzarono. Diceva mia madre che io nacqui a rovescio, ma lei non soffrì nulla nel parto, tanto che io, negli incontri e circostanze della mia povera vita, son solita di dire: “Nacqui al rovescio! È giusto che la mia vita sia al rovescio della vita delle altre creature”. Onde ricordo che nella mia tenera età di tre o quattro anni, fino all’età di circa dieci, ero di temperamento pauroso, ed era tanta la paura che, né sapevo star sola, né dare un passo da sola; ma ciò era causato che fin dall’età di tre anni, nella notte facevo quasi sempre sogni di paura. Sognavo il demonio, che mi metteva spavento tale da farmi tremare; molte volte lo sognavo che mi voleva portare con sé e mi tirava forte, ed io facevo tutti gli sforzi per fuggire; ed io nello stesso sogno sudavo freddo, mi nascondevo, fuggivo in braccio alla mamma mia; quindi il giorno mi restava l’impressione dei sogni, e tale paura come se da tutte le parti il demonio volesse uscire. Ora credo che ciò mi fece bene, perché sin da quella tenera età io recitavo molte Ave Maria e Pater Noster a tutti i santi [di cui] io conoscevo il nome, per avere la grazia di non farmi sognare il demonio; e se mi veniva nominato un altro santo che io non conoscevo, subito aggiungevo un Pater, se era santo maschio, un’Ave se era donna, perché dicevo che se non li onoravo tutti, mi facevano sognare il demonio. Ricordo che le sette Ave alla Mamma addolorata, fin da quell’età le recitavo sempre, sicché tenevo una lungaggine di Pater ed Ave Maria; e perciò mentre le altre bambine e mie sorelline giocavano, io restavo un po’ discosta da loro, oppure insieme con loro perché avevo paura, ma non prendevo parte ai loro giuochi innocenti, per recitare le mie lunghe Ave e Pater Noster… Ricordo pure che qualche vol¬ta sognavo la Vergine, che mi cacciava il demonio, ed una volta mi disse: “Figlia mia, piangi, che è morto mio Figlio”. Io restai scossa e la compativo; ma ciò mi rendeva infelice. Quando giunsi all’età più capace in cui potevo fare la meditazione, leggere, non potevo appartarmi per la paura, e quindi non potevo fare ciò che volevo.
Ora, avendomi fatta all’età di undici anni figlia di Maria, un giorno, mentre volevo pregare e meditare, la paura mi sorprese e stavo per fuggire in mezzo alla famiglia, mi intesi una forza nel mio interno che mi tratteneva, e sentii nel fondo dell’anima mia una voce che mi diceva: “Perché temi? C’è l’angelo tuo vicino al tuo fianco, c’è Gesù nel tuo cuore, c’è la Mamma celeste che ti tiene sotto il suo manto; perché dunque prendi paura? Chi è più forte: l’angelo tuo custode, il tuo Gesù, la tua Mamma celeste, o il nemico infernale? Perciò non fuggire, ma restati e prega, e non aver paura”.
Questo sentire nel mio interno mi recò tanta forza, coraggio e fermezza, che si allontanò la paura, ed ogni qual volta mi sentivo sorprendere dalla paura, mi sentivo ripetere la stessa voce nel mio interno, ed io mi sentivo portare come con mano dal mio angelo, dalla sovrana Regina e dal dolce Gesù; mi sentivo trionfante in mezzo a loro, in modo che acquistai tale coraggio che mi allontanò tutta la paura; molto più che i sogni paurosi cessarono del tutto. Così potetti restare sola, camminare sola, andare sola in giardino quando si stava alla masseria, mentre prima, se ci andavo, solo che vedevo muoversi un ramo d’albero, fuggivo, perché pensavo che lì sopra c’era il demonio.
Ricordo che un giorno, ricordando la paura della mia piccola età, i tanti sogni del nemico, che mi rendevano infelice la mia fanciullezza, dicevo a Gesù: “A che pro, amor mio, aver passata la mia infantile età con tanta paura, con tanti sogni cattivi, che mi facevano tremare, sudare ed amareggiare un’età così tenera? Io non ne capivo nulla, né credo che il nemico avesse nessuno scopo, stante un’età così piccola”; e Gesù mi disse: “Figlia mia, il nemico intravedeva qualche cosa su di te: che mi potresti servire a qualche cosa della mia grande gloria, e che lui doveva ricevere una grande sconfitta, non mai ricevuta; molto più che vedeva che, per quanto si sforzava, non poteva far penetrare in te nessuno affetto o pensiero meno puro, perché io gli tenevo chiuse le porte, e lui non sapeva da dove entrare; vedendo ciò si arrabbiava e cercava di atterrirti, non potendo altro, con sogni paurosi e di spavento. Molto più che non sapendone la cagione dei miei grandi disegni su di te, che dovevano servire alla distruzione del suo regno, si metteva sul¬l’attenti per indagare la causa, con la speranza di poterti nuocere in tutti i modi”.
Nostro Signore è stato tanto buono con me, dandomi genitori buoni, e [in] più stavano attenti a non farci sentire neppure una parola di bestemmia o meno onesta. Mi amavano, ma con amore dignitoso e serio. Ricordo che mai mio padre, essendo bambina, mi pigliò in braccio, né di avergli dato, né ricevuti baci; neppure a mia madre ricordo d’averla baciata, e quando fui grande e mi misi a letto, la mamma, dovendo andare alla masseria e mancare lunghi mesi, nel licenziarsi da me faceva atto di volermi baciare, ed io, vedendo ciò, prima che lo facesse le baciavo la mano, ed essa si asteneva di fare quello sfogo tutto materno.
Il babbo e la mamma erano angeli di purità e di modestia. Sono stati larghi coi loro dipendenti: la frode, l’inganno, non tenevano luogo in casa nostra. Era tanta la custodia che mai ci affidarono a persone estranee, ma sempre con loro. Io mi auguro che il benedetto Gesù abbia premiato tanta virtù, dando loro per soggiorno la patria celeste. Ricordo pure che io ero di temperamento vergognoso, e se venivano parenti o altri a farci visita, io me ne fuggivo sopra, per non farmi trovare, oppure mi nascondevo dietro d’un letto e pregavo, ed allora uscivo, quando mi chiamavano e mi dicevano che se ne erano andati; e quando la mamma mia andava a far visita ai parenti e voleva portarmi insieme, piangevo, perché non volevo andare; ed io ed un’altra mia sorellina, quasi dello stesso temperamento, ci contentavamo di restarci sole chiuse a chiave, anziché d’uscire. Questa vergogna non mi faceva prendere parte a nulla, né a feste, né a divertimenti, anche innocenti, che si usano nel¬le famiglie; ero la sacrificata della vergogna, e se i miei mi costringevano, stavo in croce, perché la vergogna, tutte le cose me le rendeva estranee.
Onde ricordando tutto ciò, che in qualche modo ren¬deva infelice la mia fanciullezza, il dolce Gesù mi disse: “Figlia mia, anche la vergogna con cui ti circondai nella tua tenera età fu una delle più grandi gelosie d’amore per te; non volevo che in te entrasse nessuno, né il mondo, né le persone; volevo renderti estranea a tutti. A nessuna cosa volevo che tu prendessi parte e che ti facesse piacere, perché avendo stabilito fin d’allora che dovevo formare in te il regno del Fiat supremo, e dovendo tu prendere parte alle sue feste ed alle gioie che in Esso ci sono, era giusto che nessun’altra festa tu godessi, e che dei piaceri e divertimenti che ci sono sulla terra ne dovresti restare digiuna. Non ne sei contenta?”. Ma ad on¬ta che ero vergognosa e paurosa, ero di temperamento vivace, allegra; saltavo, correvo e facevo anche delle impertinenze.
Ora, dopo, all’età di dodici anni circa, incominciò un altro periodo della mia vita: incominciai a sentire la voce interna di Gesù, specie nella comunione. La prima la feci a nove anni, e nel medesimo giorno ricevetti il sacramento della santa cresima. Quindi non di rado [la voce di Gesù] si faceva sentire nel mio interno quando facevo la santa comunione. Delle volte rimanevo le ore intere inginocchiata, quasi senza moto, dopo la comunione, e sentivo la voce interna che diceva: - e ora mi rimproverava se non ero stata buona – “attenta”; e se nel corso del giorno ero stata qualche volta distrattella, oh, come mi riprendeva, e finiva col dirmi: “Eppure mi dici che mi vuoi bene; e dove è questo tuo bene?”.
Io mi sentivo morire nel sentirmi dir ciò, e promettevo di essere più attenta, e Gesù soggiungeva: “Vedrò, vedrò se sarà vero…; le parole non mi bastano, ma voglio i fatti”.
La comunione diventò la mia passione predominante. In essa accentrai tutti i miei affetti. Ero certa di sentir parlare nostro Signore; e quanto mi costava l’es¬serne priva, perché ero costretta dalla famiglia ad andare insieme con loro alla masseria, e dovevo stare lunghi mesi senza messa e senza comunione. Quante volte rompevo in pianto nel vedere alberi, fiori, la creazione tutta…!
Dicevo tra me: “Le opere di Gesù sono intorno a me; solo Gesù non è con me… Deh, parlami tu fiore, tu sole, tu cielo, tu acqua cristallina che scorri nel nostro laghetto, parlatemi di Gesù; siete opere delle sue mani, datemi notizie di lui…! E mi sembrava che tutte di lui mi parlassero. Ogni cosa creata mi parlava di ciascuna qualità di Gesù, ed io piangendo, che non potevo ricevere Colui che tutte le cose amavano, e che sapevano così bene narrare della bellezza, dell’amore, della bontà di Gesù, piangevo e giungevo fino ad ammalarmi. Anche nella meditazione sentivo la voce di Gesù, ma qualche volta mi mancava; invece nella comunione, mai. E quante volte meditando restavo le due o le tre ore senza potermi distaccare; come leggevo il punto e mi fermavo, così la voce di Gesù sentivo nel mio interno, che atteggiandosi a maestro mi spiegava la meditazione. Fin d’allora mi faceva nel mio interno, l’amabile Gesù, lezioni sulla croce, sulla mansuetudine, sull’ubbidienza, sulla sua vita nascosta… A tal proposito, della sua vita nascosta, ricordo che mi diceva: “Figlia mia, la tua vita deve essere in mezzo a noi nella casa di Nazareth. Se lavori, se preghi, se prendi cibo, se cammini, devi avere una mano a me, l’altra alla Mamma nostra, e lo sguardo a san Giuseppe, per vedere se i tuoi atti corrispondono ai nostri, in modo da poter dire: ‘Faccio prima il mio modello sopra a ciò che fa Gesù, la Mamma celeste e San Giuseppe, e poi lo seguo’. A seconda il modello che hai fatto, io voglio essere ripetuto da te nella mia vita nascosta; voglio trovare in te le opere della Mamma mia, quelle del mio caro san Giuseppe, e le mie stesse opere”. Io restavo confusa e gli dicevo: “Mio amato Gesù, io non so fare”.
E lui: “Figlia mia, coraggio, non ti abbattere; se non sai fare domandami che io ti insegni, ed io subito t’in¬segnerò; ti dirò il modo come facevamo, le mie intenzio¬ni, l’amore continuo di tutti e tre, che io come mare e loro come fiumicelli eravamo sempre gonfi, in modo che uno straripava nell’altro, tanto che poco tempo tene¬vamo di parlarci, tanto eravamo assorbiti nell’amore. Vedi quanto stai dietro? Molto hai da fare per raggiungerci; ti conviene molto silenzio ed attenzione, ed io non ti voglio dietro, ma in mezzo a noi”.
Onde, quando non sapevo fare, domandavo a Gesù, e lui m’insegnava nel mio interno. Cercavo quasi sempre, quanto più potevo, di appartarmi dalla famiglia per starmi sola, per mantenere il silenzio; prendevo il mio lavoro e chiedevo alla mamma che mi permettesse di andarmene sopra, e lei me lo concedeva.
Sicché la mia mente stava nella casa di Nazareth, ed ora guardavo l’uno, ora l’altro, e mi confondevo nel vederli così attenti nei loro umili lavori, così assorbiti nelle fiamme d’amore, che s’innalzavano tanto in alto che i loro lavori restavano incendiati e trasformati in amore; ed io, meravigliata, pensavo tra me: “Loro amano tanto, ed il mio amore qual è? Posso dire che i miei lavori, le mie preci, il cibo che prendo, i passi che faccio, sono fiamme che s’innalzano al trono di Dio, e formando fiume straripa nel mare di Gesù?”. E vedendo che non lo era, restavo afflitta; e Gesù nel mio interno mi diceva: “Che hai? Non ti affliggere; a poco a poco giungerai. Io ti starò sopra, e tu seguimi e non temere”.
Se io volessi dire tutto ciò che passai nel mio interno nella mia fanciullezza, andrei troppo per le lunghe; molto più che nel primo volume da me scritto, senza precisare l’epoca, prima o dopo, quando fui più piccola o quando fui più grande, sta dato un accenno del lavorio della grazia nel fondo dell’anima mia, perché così mi fu detto: che non faceva nulla che non mettessi l’ordine dell’età, né quello che era stato prima, né quello che era stato dopo, ma purché dicessi quello che in me era passato; molto più che dopo tanti anni mi riusciva difficile tenere l’ordine di ciò che era passato nel mio interno. Ed ora, per non fare ripetizione, passo avanti.
Ricordo che, ragazza, avevo quasi una smania di volermi far suora, e siccome andavo dalle suore a scuola, io sentivo un affetto un po’ spinto per loro, ma però le volevo bene perché volevo essere come una di loro; ma nel mio interno mi sentivo rimproverarmi di questo affetto, e mentre promettevo di non amare altro che Gesù, ricadevo di nuovo, e Gesù ritornava a darmi amari rimproveri. Unico affetto che ricordo, che ho sentito in vita mia in modo speciale, che poi non mi son sentita più amore con nessuno. Che tirannia è un affetto naturale e forse anche innocente, al povero cuore umano! Lo ricordo con terrore; i rimproveri interni mi mettevano in croce; mi sembrava che il mio affetto teneva in croce Gesù, e Gesù per ricambio metteva in croce me, e perciò non godevo la vera pace, perché è la natura dell’amore umano, guerreggiare un povero cuore. Aver pace ed amare persone con modo speciale, non esiste nel mondo, e se esiste significa non aver coscienza, ed ancorché fosse con fine santo o indifferente. Ma il benedetto Gesù la fece subito finire, ed ecco come.
Una mattina pregai la mamma che mi mandasse a far visita alla superiora, e l’ottenni con stento e sacrificio. Mentre andai, domandai che mi facessero uscire la superiora, e dopo mi fu risposto che stava occupata e non poteva uscire; io restai come ferita nel sentir ciò. Andai in chiesa e sfogai la mia pena con Gesù, e lui prese occasione da ciò per farmela finire. Mi parlò del suo amore e dell’incostanza dell’amore delle creature, e come voleva che assolutamente la finissi, dicendomi che: “Quando un cuore non è vuoto, io lo rifiuto, né posso incominciare il lavorio che ho disegnato di fare nel fondo dell’anima”. Ma chi può dire tutto ciò che mi disse nel mio interno? Ricordo che là finì, ed il mio cuore restò impavido, senza sapere amare più nessuno.
Onde pregavo sempre Gesù che mi facesse giungere a farmi suora, e spesso lo domandavo quando me lo sentivo nel mio interno, se doveva giungere a compimento la mia vocazione religiosa, e Gesù mi assicurava dicendomi: “Sì, ti contenterò; vedrai che sarai suora”. Io restavo tutta contenta nel sentirmi assicurare da Gesù, e cercavo di disporre la famiglia per ottenere il consenso, la quale era contraria, specie la mamma; giungeva fino a piangere, e mi diceva che mi avrebbe contentato se avessi voluto farmi suora di clausura, ma delle suore attive, non me l’avrebbe fatta mai vincere. Io però, a dire il vero, volevo farmi suora attiva, perché quelle che conoscevo erano state le mie maestre, ma sopravvenne la mia lunga malattia, e mise termine alla mia vocazione; e molte volte mi lamentavo con Gesù e gli dicevo: “Ep-pure mi dicevate la bugia, mi davi la burla, promettendomi che dovevo giungere a farmi suora”.
E Gesù molte volte mi ha assicurato che mi diceva la verità, dicendomi: “Io non so né ingannare né burlare; la chiamata che io facevo a te era più speciale: chi mai col farsi suora, anche nelle religioni più strette, non può camminare, non prendere aria, non godere nulla? E quante volte nelle religioni fanno entrare il piccolo mon¬do e si divertono magnificamente? Ed io resto come da parte. Ah, figlia mia, quando io chiamo ad uno stato, io so come realizzare la mia chiamata; il luogo è per me indifferente, l’abito religioso per me dice nulla, quando nella sostanza dell’anima è quello che dovrebbe essere se fosse entrata in religione; e perciò ti dico che sei e sarai la vera monacella del cuore mio”.
 
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