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BREVI MEDITAZIONI SUI NOVISSIMI

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San Raffaele Arcangelo
view post Posted on 8/5/2015, 20:18




G. Martelli C.PP.S.

Tanti nostri fratelli di fede hanno vissuto e vivono in santità di vita, ricordando costantemente a se stessi le parole ispirate della S. Scrittura: «... in tutte le tue opere, ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato» (Sir 7,36).

La «fine» sono le ultime realtà che ci attendono: morte, giudizio, inferno o paradiso. La loro assidua meditazione ci aiuta a vivere nel timore di Dio, a vincere le tentazioni, a progredire nella bontà: «... in attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo».



Il fine dell'uomo

Tutto ciò che esiste è creato da Dio. E Dio crea per amore gratuito allo scopo di associare tutti gli esseri alla sua «gloria» cioè alla sua vita e alla sua felicità.

Al centro dell'universo Dio pone l'uomo, creatura fatta «a sua immagine» perché domini tutta la creazione materiale, vivendo sotto lo sguardo di Dio, in intima amicizia con lui.

Ma Dio compie molto di più: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio» (Giov 3,16) perché gli uomini possano «divenire figli di Dio» (Giov 1,12) e accedere alla sua vita eterna; e la vita eterna consiste nel «conoscerlo» (Giov 17,3), cioè vivere nel suo amore e vederlo faccia a faccia, nell'al di là della morte.

L'uomo rifiuta questo piano d'amore: è il peccato. Dio però non lo abbandona in potere della morte: nella pienezza dei tempi, manda il suo Figlio come Salvatore. Per compiere il disegno d'amore del Padre, Gesù si consegna volontariamente alla morte e con la sua risurrezione distrugge la morte e rinnova la vita.

Facendo propria ogni giorno l'obbedienza filiale di Gesù e vivendo nell'amore, il cristiano, animato dallo Spirito Santo, cammina verso il termine della storia, dove «Dio sarà tutto in tutti» (1 Cor 15,28). Solo allora si realizzerà pienamente la redenzione nostra: «essi saranno suo popolo ed egli sarà Dio con loro» (Ap 21,3) Giovanni precisa nel Vangelo: «quelli che hanno fatto del bene risorgeranno per vivere; quelli che hanno fatto del male risorgeranno per essere condannati» (Giov 5,29).

Signore!

Il Calice celeste del tuo Sangue vivificante, che è sempre offerto in sacrificio come memoriale di vita e di redenzione, faccia fiorire e fruttificare la mia persona, preparata per il giorno della luce. Amen.



La morte

La morte fu chiamata nel mondo per mezzo del peccato, ma per mezzo del Cristo essa è stata trasformata. Gesù infatti «apparso in forma umana, abbassò se stesso e fu obbediente a Dio fino alla morte, alla morte in croce» (Fil 2,8). La morte di Gesù fu ubbidienza verso il Padre, mettendogli la sua vita a disposizione nel modo più radicale. Ciò non toglie che la sua morte sia stata paurosa e spaventosa: l'angoscia continuamente provata di fronte al «battesimo» che doveva ricevere raggiunge il suo apice nell'angoscia del Getsemani. In tutta la sua vita, Gesù ha amato il Padre, ha fatto le opere di lui, si è nutrito della sua volontà, ed ora gli uomini decidono la sua fine. Ai discepoli confida: «una tristezza mortale mi opprime» (Mc 14,34). Si rivolge al Padre offrendo preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime (Ebr 5,7). Con fiducia incondizionata «affrda la sua vita» (Lc 23,46) nelle mani del Padre e muore.

Ma la sua morte è una vittoria perché il Padre, rispondendo al suo sacrificio, lo risuscita dai morti.

Nel Cristo morto e risorto, il nostro destino si illumina. In Gesù, che siede alla destra del Padre per una vita che non finirà più, ci viene annunciato che il termine e la fine della nostra esistenza è il possesso della gloria di Dio; possesso che realizza, superandolo infinitamente, il nostro desiderio di vivere sempre.

Nel Cristo si illumina anche il senso della nostra morte: questa, come termine d'una esistenza aperta al Padre, è il cammino della vita come pienezza, l'ultimo modo di «compiere» noi stessi.

Per questo, dalla morte ultima siamo rinviati ad un'altra morte già presente nella nostra vita: la morte a noi stessi, credendo e amando ogni giorno per risorgere ad una esistenza nuova. Beati allora quei servi che il Signore al suo ritorno troverà vigilanti!

Cristo mio Salvatore!

Ho fiducia nella ricchezza del tuo amore, negli ultimi aneliti di vita che, tu mi concedi, prima di presentarmi davanti a te. Tu hai fatto sgorgare su di me il Sangue del tuo Costato trafitto, con il tuo Sangue hai santificato la mia umana natura, aprendomi le porte del paradiso celeste, un tempo chiuso per il peccato di Adamo; mostrami dunque in quel terribile momento le tue piaghe insanguinate e salvami. Amen.



Il giudizio particolare

Dopo la morte, il passaggio dalla terra al cielo non si compie senza comparire davanti al tribunale di Cristo: là ogni coscienza verrà messa a nudo e le azioni sanzionate.

Dice S. Paolo: «tutti ci presenteremo al tribunale di Dio... Ciascuno di noi renderà conto di sé a Dio» (Rom 14,10-12). E ancora: «bisogna che tutti compariamo davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva ciò che ha meritato per quanto fece durante la vita, sia di bene sia di male» (2 Cor 5,10).

Oggetto del giudizio è il comandamento di Dio: «credere in Gesù suo Figlio e amarci gli uni gli altri come ci ha ordinato» (1 Giov 3,23).

Credere in Gesù significa credere che il Padre ama tutti gli uomini attraverso il Figlio, che noi vogliamo partecipare a questa mediazione dell'amore, ammettere che Gesù è la migliore risposta umana all'amore del Padre, volere imitare la sua rinuncia e la sua obbedienza filiale.

Amarci gli uni gli altri significa dar da mangiare, da bere, ospitare, vestire, visitare, assistere, liberare. Dice S. Giovanni: «noi abbiamo capito che cosa vuol dire amare il prossimo, perché Cristo ha dato la sua vita per noi. Anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli». (1 Giov 3,16).

Se avremo creduto e amato, il giudizio sarà l'incontro del Vivente e dell'Amore in persona, l'immersione nella larghezza e nella profondità dell'amore di Cristo e nella sua Luce.

Signore!

Poiché il tuo Sangue è sgorgato in abbondanza anche per la mia redenzione, non permettere che nell'ora della mia morte e nel giorno del giudizio io perisca con gli empi. Mi hai riscattato col tuo Sangue; ricongiungimi ai tuoi eletti. Amen.



L'inferno

L'inferno è il mistero del peccato, perché è il risultato e la esperienza del peccato: è l'adempimento del peccato.

Esso è separazione da Dio: è il pianto e la rabbia di chi erra lontano dal Padre perché si rifiuta di amare; è il pianto e la rabbia della sposa che ha chiuso la porta e che, nel suo orgoglio, si ostina a non tornare, proprio perché tutti i torti sono dalla sua parte.

L'inferno inoltre è l'ostilità contro il Dio della creazione, che il Cristo risorto ha riempito della sua presenza e potenza. Chi è in rottura con Dio, non è più d'accordo con niente e con nessuno. Chi non è del Cristo urta contro un mondo ostile di cui sente dolorosamente il cozzo.

Nei confronti dell'uomo risorto per la Vita, l'universo è il suo ambiente dove tutto è gioia per lui; ma nei confronti dell'uomo risorto per la «morte eterna», l'universo è un corpo estraneo: si rigettano l'un l'altro, si vomitano, senza potersi mai separare.

L'inferno è un mistero, e noi ne possiamo parlare solo balbettando: è un mistero di spavento di fronte al quale tutti gli altri spaventi svaniscono.

Ognuno di noi deve avere una sola paura, secondo l'esortazione di Gesù: «non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima; temete piuttosto colui che può mandare in perdizione e anima e corpo nella geenna» (Mt 10,28).

Padre!

Distruggi lo scritto del debito che accusa me peccatore, annulla la sentenza di morte contro la mia anima, grazie al Sangue del tuo Figlio diletto, e traccia una fiducia di salvezza e di favore con il Sangue del tuo Cristo. Amen. S. Gregorio di Nazek



Paradiso

«Per me il vivere è Cristo:.. Bramo di togliermi dal corpo per essere con Cristo» (Fil 1,21-23).

La felicità celeste è particolarmente in questa espressione: essere con Cristo. Tale e il sogno di chi ama. Paolo è stato «afferrato dal Cristo» ed è impaziente di «essere con il Cristo», di volare «incontro a Cristo», per non esserne mai più separato. Il Cielo di Paolo è il cielo dell'amore del Cristo, dell'amore ricolmo.

Per Giovanni il Cielo è «conoscere Dio come Egli è» (1 Giov 3,2), cioè vederlo mediante una esperienza piena, una riunione di Dio a noi e di noi a Dio, un reciproco totale possesso. Conosceremo Dio come il ferro conosce il fuoco che lo penetra, come la spugna conosce l'acqua del mare. Ineffabile intimità!

Nell'Apocalisse il Cielo è un banchetto nuziale e noi siamo gli invitati. L'anima è come una sposa pronta per le nozze, dove essa «entrerà nella gioia del suo Signore», parteciperà alla beatitudine stessa di Dio, prenderà possesso del Regno preparato per lei fin dall'origine del mondo.

S. Teresa d'Avila, allo scoccare di ogni ora, avvertiva un sussulto di gioia: «eccoci di un'ora più vicini al Cielo». Non siamo forse, tutti noi credenti, coloro che attendono e amano la manifestazione del Signore?

Signor mio Gesù Cristo,

Dio del mio cuore, crocifisso per me: perr quelle cinque sacrosante piaghe, che per nostro amore soffristi in croce, e le cui gloriose cicatrici tieni in cielo, soccorri ti prego me e tutti i tuoi figli, redenti col tuo preziosissimo Sangue; liberaci tutti dalle pene dell'inferno e, per l'intercessione della tua dilettissima Madre Maria, degnati di condurci tutti al Paradiso promesso ai tuoi seguaci. Amen. S. Francesco. Saverio
 
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