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Luca 12,13-21, Quello che hai preparato, di chi sarà?

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San Raffaele Arcangelo
view post Posted on 18/10/2009, 19:22





In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».


COMMENTO

Un uditore di Gesù cerca di coinvolgere il Maestro in una bega familiare: chiede che il Signore convinca il fratello a dividere l'eredità con lui. Cristo rifiuta decisamente il ruolo di arbitro in una contesa civile: egli non è stato inviato né costituito per svolgere un simile ruolo tra noi. Gesù, poi, avvisa i presenti affinché vigilino sull'attaccamento del cuore ai beni materiali. Infinitamente più importante che accumulare beni è arricchirsi davanti a Dio. Alla nostra morte, infatti, i beni accumulati passeranno a qualcun altro, mentre la ricchezza dell'anima rimane sempre nostra; ce la portiamo fino in paradiso.

Meditazione

Diverse volte Gesù ammonisce i suoi di non dire in giro che lui è il Cristo, non perché non si riconosca come il Messia di Israele e del mondo intero, ma perché vuole evitare che chi ascolta possa fraintendere il significato di quel titolo. Al tempo di Gesù, infatti, non erano pochi quelli che pensavano che il Cristo sarebbe stato un condottiero militare il quale, a capo dell'esercito degli israeliti, avrebbe sgominato le forze dei dominatori romani. Gesù è il Cristo di Dio, ma vuole che si capisca bene cosa significa simile titolo. Così avviene anche nel brano evangelico odierno. San Paolo dice: «Uno solo è Dio e uno solo anche il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5). Gesù è l'unico mediatore, eppure nel Vangelo di oggi domanda: «Chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». Dicendo ciò, il Signore non rifiuta il titolo di mediatore, ma vuole che non lo si fraintenda. Egli è venuto a mediare la riconciliazione tra Dio e gli uomini, e non a ricomporre le beghe patrimoniali familiari. In questo secondo senso, egli non è mediatore e non vuole esserlo. Ma lo è di certo nel primo significato del termine. Poi Gesù ci avvisa di non fondare la nostra vita sui beni: essi sembrano stabili e durevoli ma sono in realtà molto evanescenti. Benedetto XVI ha affermato: «Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Ma tutto questo un giorno passerà. [...] Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più che il cielo; è la realtà» (6 ottobre 2008).
 
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San Raffaele Arcangelo
view post Posted on 18/10/2009, 21:47




Come spiegare la reazione di Gesù di fronte ad un uomo che gli ha fatto una domanda legittima? In realtà Cristo non respinge quest’uomo, ma vuole aiutarlo a non attaccarsi ai suoi averi, come se da essi dipendesse il senso della vita. Ed in una parabola
Gesù parla dell’uomo che, dimenticando di appartenere a Dio, si chiude con le sue ricchezze in un’angoscia solitaria e passa di fianco alla vita. Gesù è venuto per qualcosa di assai più serio che non mettere fine alle nostre dispute. Egli vuole dividere con noi il mistero che consiste nell’appartenere interamente al Padre. Egli ci invita a guardare la nostra vita alla luce di questo mistero ed a prendere da soli le decisioni che si presentano. Così egli ci tratta con estrema serietà, assai più che prendendo decisioni al nostro posto. Egli ci guida nella libertà dei figli di Dio, capaci di vivere di Dio anche nei dettagli della vita, come per esempio la divisione di un’eredità.


padre Lino Pedron
Questa parabola descrive l'uomo che fa consistere la propria sicurezza nell'accumulo dei beni. Cristo e i suoi discepoli, invece, pongono la loro sicurezza nell'amore del Padre. La loro vita non sta nei beni, ma in colui che li dona: Dio. I beni di questo mondo non devono essere né adorati né demonizzati: vanno usati secondo la volontà del Donatore.

Con l'accumulo dei beni l'uomo crede di essersi assicurate la felicità e una lunga vita. Ma così facendo si rivela stolto, perché non ha messo nel conto l'incognita della morte. Ha ragionato come se fosse padrone della propria vita, allo stesso modo che si sente padrone del suo raccolto. La drammaticità della situazione sta appunto nell'estrema insicurezza della vita. Accanto ai granai si possono mettere tutti gli altri beni: la salute, il potere, il denaro. Non contano nulla per vivere bene, per vivere a lungo, perché la durata della vita non dipende da queste cose.

Il problema suscitato da questo tale diventa un'occasione di insegnamento per tutti, perché tutti siamo vittime dello stesso male. Ciò che divide i fratelli è la spartizione di ciò che di per sé dovrebbe unirli: i beni della terra, che sono doni di Dio per la fraternità e la condivisione nell'amore. Questa è la causa di tutte le guerre, di tutte le lotte sindacali e sociali e di tutte le inimicizie familiari che sorgono in occasione delle divisioni dell'eredità. L'amore per le cose di cui appropriarsi sostituisce quello per il Padre e per i fratelli. Questo litigio per l'eredità è l'emblema della situazione umana: dimenticando il Padre, gli uomini litigano per arraffare la roba. L'avidità di vita, nata dalla paura della morte, trasforma in causa di odio e di morte ciò che in realtà è dono di amore. In questo modo è stravolto tutto il senso della creazione.

La controproposta che Gesù fa è ugualmente incentrata sull'accumulare tesori, ma non per sé, ma per arricchire davanti a Dio (v.21). La ricchezza che conta è quella accumulata nei cieli ed è costituita dai beni dello spirito, dalla rettitudine, dalla giustizia, dalla carità. Nel capitolo 16 di questo vangelo Gesù ci insegna: "Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne" (v.9). In definitiva si è ricchi solo di ciò che si dà.

Il destino dell'uomo dipende dall'uso corretto delle creature: o sono mezzi per amare Dio e il prossimo o diventano fine e surrogato di Dio. Il progetto dell'uomo che non conosce l'amore del Padre è ingrandire il proprio granaio per avere sempre di più. Più uno ha e più aumenta il desiderio di avere. La stoltezza poi arriva al culmine quando ci si compiace dei beni, facendo di essi la propria vita e la propria sicurezza. Dall'uso delle cose materiali deriva la realizzazione o il fallimento dell'uomo.

I beni del mondo danno la morte quando sono accumulati per paura della morte; danno la vita quando sono condivisi coi fratelli per amore del Padre.


(don Paolo Curtaz )
Non ho mai incontrato nella mia vita, né lo so, mai lo incontrerò, qualcuno che mi dicesse: vivo per far soldi. Ma, allora, da dove vengono le divisioni, gli egoismi, le ingiustizie se non nella sete di cupidigia? Da dove le divisione tra famiglia? E proprio di una divisione tratta oggi Gesù, defilandosi bene bene dal dare una risposta alla richiesta di intervento dei due fratelli. Gesù ci disarma: "siete in grado benissimo di farlo da soli".

Vero, forse. Certo il Signore ci ammonisce: attenti, la ricchezza può farti credere di essere la soluzione ai tuoi problemi. Gesù non è moralista, non condanna la ricchezza, solo ne intravvede la pericolosità: la ricchezza e il benessere promettono cose che non possono mantenere: felicità, pace del cuore, serenità. Un po' come il pover'uomo della parabola talmente intento a gestire i suoi risparmi dal dimenticarsi di prepararsi alla morte. Facciamo nostra, amici, la visione del Signore: non chiediamo né richhezza né povertà: nella ricchezza potremmo dimenticare Dio, nella povertà bestemmiarlo a causa della miseria. Andiamo all'essenziale nella gestione dei nostri beni, facciamo della generosità la caratteristica della nostra vita... Signore, affrontiamo questa giornata col cuore leggero e libero, pensando a te e alle cose essenziali della nostra vita. Che il nostro sguardo si alzi verso l'altrove in questa giornata, che nulla possa separarci dal tuo sereno e sorridente sguardo, Dio che ami la vita.



mons. Vincenzo Paglia

Gesù torna a mostrare quale dev'essere l'atteggiamento dei discepoli verso i beni della terra. Lo spunto è offerto da un uomo che chiede a Gesù di intervenire perché due fratelli dividano equamente l'eredità. Egli si rifiuta di intervenire. Non è maestro di spartizioni. Egli è maestro della Parola di Dio. Interviene perciò non sull'eredità ma sul cuore degli uomini. Del resto è nel cuore dei fratelli che si annida il problema, non nelle cose che debbono dividersi. I cuori dei due fratelli erano appesantiti dal desiderio del denaro e soggiogati dall'avarizia; in un simile terreno non possono che germogliare divisioni e lotte. Paolo scrive a Timoteo: "l'avarizia è la radice di tutti i mali". Gesù lo spiega con la parabola del ricco stolto. Quest'uomo ricco credeva che la felicità si ottenesse accumulando beni sulla terra. Nella sua vita - è la logica dell'avaro - non c'era spazio per gli altri, perché la vita consisteva nell'accumulare beni esclusivamente per sé. Il ricco aveva però dimenticato l'essenziale: nessuno è padrone della propria vita. E la felicità non sta nel possesso dei beni ma nell'amare Dio e i fratelli.


Accumulare tesori senza arricchire dinanzi a Dio
Monaci Benedettini Silvestrini
I desideri umani, se non guidati dalla sapienza dello Spirito, sfociano inevitabilmente nella cupidigia; le necessità della vita, sull'onda della umana insaziabilità, si moltiplicano senza limite fino a farci credere di dover vivere sempre e soltanto nella situazione terrena. Ci convinciamo anche di essere noi soltanto i padroni del tempo e della vita e i destinatari delle nostre cose, chiudendoci in un'insanabile egoismo. Siamo anche noi tentati di pensare come l'uomo ricco di cui ci parla il Vangelo di oggi,: una volta acquisite le nostre sicurezze, i nostri beni, riempiti i granai delle nostre bramosie, diciamo a noi stessi: «Hai a disposizione molti beni per molti anni; riposati, mangia e bevi e datti alla gioia». Il Signore da un giudizio completamente diverso della felice situazione in cui crede di essere quell'uomo. Egli lo definisce «stolto» perché ha sbagliato completamente i conti: ha saputo misurare l'entità delle sue ricchezze, ma non ha valutato la caducità del tempo e la vera destinazione di quei beni. Ha pensato ad una felicità solo terrena e si è dimenticato dell'eternità. Ecco perché il Signore non intende immischiarsi in faccende di eredità. Troppo spesso proprio in quelle circostanze emergono in modo violento l'attaccamento al denaro e agli interessi solo umani. Dovremmo ricordarci che la nostra vera vita non è quaggiù, dove tutto perisce, ma nell'eternità di Dio, dove le vere ricchezze si tramutano in gioia perenne.
 
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